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Al
campo di Foce abbiamo vissuto per alcuni giorni fuori dal mondo. La vita
trascorreva a contatto con tutti i generi di animali dell'Arca di Noè. E
veramente Foce, come paese, non esisteva se non come luogo d'addestramento
per noi allievi ("li mi-litari", come ci chiamavano i paesani );
eravamo noi a crearlo e ad animarlo, almeno nelle ore libere dagli
addestramenti.
Un soldato non può dirsi tale se non dopo il battesimo del fuoco: anche
per questo Foce resterà uno dei momenti più importanti della nostra
esperienza militare. Sarà difficile dimenticare quel fal-sopiano che
conduceva alla zona dei "due alberelli", la famigerata zona del
nemico, quella ostinata inclinazione che si mostrava in tutta la sua
evi-denza solo alla fine dell'assalto quando, volgendo 10 sguardo
indietro, si scorgeva il paesino là in fon- do, molto più in basso di
quanto avremmo creduto. Ma l'assalto fu soprattutto il momento in cui le
squadre, da nomi sulla carta, diventarono realtà umane vive ed operanti.
Ci sentimmo più uniti, cominciarono addirittura le rivalità di squadra,
di plotone, di compagnia. Era la naturale conseguen-za di un agonismo che
era giunto ormai alla sua fase finale dopo tanta preparazione teorica
nella caserma di Ascoli.
Ascoli pareva lontana, con la sua sistematica e continua disciplina di
orari, e francamente questa sensazione non era spiacevole.
Il rientro riportò in caserma degli allievi più coscienti del loro ruolo
attuale e futuro, meno "nebbie", come avrebbero detto gli
anziani appena partiti. |
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